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- Di Matteo Ferrario
Tradurre un linguaggio architettonico
ProtagonistiC’è una figura chiave dei grandi studi internazionali che portano avanti progetti in diversi Paesi: la definizione più sintetica può essere, come in questo caso, quella di direttore artistico o project architect, ma si tratta di un ruolo dalle molte sfumature, una sorta di tramite anche culturale tra il linguaggio progettuale e l’iter realizzativo dell’edificio.
È quello che ricopre l'architetto italiano Giulio Rigoni nel progetto per la San Pellegrino Flagship Factory dello studio BIG, una realtà globale con un lungo portfolio di edifici iconici realizzati in vari continenti.
Nella conversazione che segue, Rigoni racconta a PromisedLands il percorso formativo e professionale attraverso cui è approdato allo studio fondato dal danese Bjarke Ingels, per cui si sta occupando anche di un altro lavoro importante in qualità di senior architect: quello dell’aeroporto di Zurigo, in cui è responsabile di una porzione dell’edificio e coordina sia il team di progetto che i consulenti.
Tra Italia, USA e Svizzera
"Mi sono laureato in architettura allo IUAV di Venezia, con un anno di Erasmus in Germania e una tesi a New York. Credo sia giusto iniziare il racconto da questo punto, perché è uno dei motivi per cui poi sono arrivato a BIG, o comunque si tratta di un elemento che sicuramente ha pesato”.
Rigoni ci ha parlato anche del primo tratto del suo percorso professionale e della breve esperienza nello studio SAMA di Marostica (Vi), che in quegli anni collabora con l'architetto Luigi Snozzi. E proprio da Snozzi arriva la proposta che coincide con la prima svolta importante della sua carriera: quella di trasferirsi a Locarno, in Svizzera, per lavorare con un architetto che conosce già a livello progettuale, anche per averlo studiato negli anni universitari allo IUAV. "Uno tra i miei preferiti: Livio Vacchini, purtroppo scomparso nel 2007”.
Giulio Rigoni trascorrerà cinque anni nello studio, ma inizia a lavorarvi soltanto un anno prima della morte del fondatore. Ha comunque l’opportunità di collaborare col maestro svizzero su vari progetti, tra cui alcuni per concorsi, dando avvio a un'esperienza che, sottolinea, rappresenterà poi una base fondamentale per tutte le altre della sua carriera, sia sul piano della progettazione che della gestione del cantiere.
“In quel periodo” spiega “mi è stata affidata la direzione architettonica dei lavori per l’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti del Canton Ticino, un progetto che ha segnato la mia carriera, e questo per due motivi. In primo luogo, perché a ventotto anni, con alle spalle un’esperienza ancora limitata a piccoli progetti residenziali, mi sono trovato ad allestire un cantiere da 240 milioni di franchi totali includendo le macchine, e da circa 70 milioni per la sola parte edilizia: una palestra importante per la mia volontà e la mia professionalità".
"Al tempo stesso, l’esperienza di quegli anni ha rappresentato poi il trampolino di lancio, o comunque il tramite, che mi ha permesso di arrivare agli altri studi”.
Le tappe successive del percorso di Rigoni sono fondamentalmente due, ciascuna delle quali di grande importanza per il processo di crescita.
“Dopo i quattro anni in cui l'esperienza nello studio di Livio Vacchini aveva coinciso per me col lavoro sull’edificio del termovalorizzatore, ce n’è stato un altro dedicato a progetti di concorso, alcuni dei quali vinti” ricorda. “Ma in assenza del fondatore l’ufficio era ovviamente cambiato, e nello stesso periodo si è presentata l’opportunità di lavorare per Herzog & de Meuron”.
Lo studio fondato a Basilea da Jacques Herzog e Pierre de Meuron - che tra l’altro in quegli anni aveva già iniziato la progettazione del suo primo edificio in Italia, quello della Fondazione Feltrinelli in viale Pasubio a Milano - era in cerca di un architetto che parlasse italiano e avesse alle spalle altre esperienze in Svizzera per affidargli un lavoro a Lugano, quello per le otto ville denominate Archi di luce.
Giulio Rigoni corrisponde esattamente al profilo e inizia la collaborazione con Herzog & de Meuron nel 2011: trasferitosi a Basilea, gestisce il progetto facendo la spola tra lo studio e il cantiere, situato all’interno del parco di Villa Favorita e affacciato sul lago di Lugano: “Sono stati anni meravigliosi, ma, come si può immaginare, molto intensi”.
Conclusa quindi l’esperienza nel 2014, Rigoni decide di prendersi una pausa di due anni, per dedicarsi all’attività didattica presso l’università di Mendrisio: diventa così assistente di Muck Petzet, architetto tedesco che ha curato il padiglione della Germania alla Biennale di Venezia 2012 - basato su una tematica più che mai attuale ai giorni nostri, ma all’epoca piuttosto avanti sui tempi: “Ridurre, Riutilizzare, Riciclare”.
Giulio Rigoni collabora con Petzet nel suo corso di sostenibilità in architettura. “Un’esperienza che ha molto arricchito il mio bagaglio, perché ho lavorato meno sul fronte cantieristico, ma molto di più su quello intellettuale o comunque di approccio alla progettazione.
La direzione artistica per BIG
L’incontro con BIG avviene nel 2017, secondo una dinamica molto simile a quella che aveva già portato Rigoni a collaborare con Herzog & de Meuron.
“Anche in questo caso tramite contatti e amici in comune, ho avuto la possibilità di entrare in contatto con lo studio di Bjarke Ingels, che, dopo aver vinto il concorso per la San Pellegrino Flagship Factory, stava a propria volta cercando una figura come la mia per quel cantiere”.
E qui entriamo nel vivo del ruolo oggi ricoperto da Rigoni per BIG: quello di direttore di artistico del progetto di San Pellegrino, di cui è attualmente in corso la seconda parte dei lavori, e dell’aeroporto di Zurigo, per cui BIG ha aperto di recente un nuovo ufficio nella città svizzera.
“Oltre che di un architetto locale che faccia direzione lavori, spesso questi grandi studi hanno bisogno di una persona che riesca a tradurre e trasferire il concetto architettonico: in realtà affiancando il Direttore lavori, ma con un occhio particolare rivolto a una serie di scelte e soluzioni, perché siano in linea con il cosiddetto design intent, ovvero l'obiettivo di chi ha progettato l’edificio”.
Quando inizia la collaborazione con Bjarke Ingels Group, Rigoni torna nella città in cui ha lavorato alla sua tesi di laurea, ovvero appunto New York: “Per questo dicevo che si è trattato di uno snodo importante” spiega. “Sono convinto che, insieme alle esperienze di cantiere per il termovalorizzatore di Vacchini e gli Archi di luce di Herzog & de Meuron, anche quella abbia contribuito a convincere il team di BIG a iniziare con me questo percorso, che sta proseguendo felicemente”.
Il processo progettuale
Rigoni ci ha parlato anche del processo progettuale di Bjarke Ingels Group: "Si differenzia molto a seconda dei casi” spiega “ma alla base, in genere, c'è spesso lo schizzo a mano libera di Bjarke, seguito da un'analisi che evidenzia gli aspetti chiave su cui lavorare, per poi individuare l'elemento cruciale in grado di dar vita a un progetto di qualità”.
A questo punto vengono sviluppate diverse opzioni sulla base del programma, e si restringe progressivamente il campo alle varianti più vincenti, sino ad arrivare alla soluzione.
A livello di software, in fase di progettazione preliminare BIG si serve soprattutto di Rhino 3D e in particolare della sua applicazione Grasshopper 3D, utilizzata ad esempio per lo sviluppo degli archi del progetto San Pellegrino.
Il BIM è ovviamente sempre più presente, ma soprattutto nelle fasi successive del progetto: “Lo considero fondamentale, ma più per l'integrazione con la parte impiantistica e per interfacciarsi con le altre professionalità coinvolte, che da un punto di vista architettonico” commenta Giulio Rigoni . “A prescindere dallo strumento impiegato, il progetto non si fa da solo".