- INFO POINT
- Di Matteo Ferrario
- Cosa: Gewiss Stadium
- Dove: Bergamo
- Stato: Progetto
Lo stadio come motore di rigenerazione urbana
Edilizia SportivaSi può fare rigenerazione urbana a partire da uno stadio?
Il progetto dello studio De8 Architetti, che ha avviato un profondo processo di rinnovamento del Gewiss Stadium di Bergamo, nasce proprio dalla doppia sfida di trasformare la storica sede delle partite casalinghe della società di calcio Atalanta in un moderno impianto rispondente agli standard UEFA per la Champions League, e al contempo ridisegnare una parte di tessuto urbano.
Ne abbiamo parlato con l’architetto Mauro Piantelli, fondatore di De8 [qui l’approfondimento sul metodo di lavoro dello studio], in un’intervista esclusiva concessa a Promised Lands.
Un secolo di stadi italiani: lo strappo da ricucire
Al netto di preesistenze come l’edificio del Lazzaretto, che determinano l’unicità del contesto con cui si è confrontato lo studio De8, le vicende che hanno riguardato lo stadio di Bergamo nell'arco di un secolo sono da considerarsi emblematiche rispetto alla storia conosciuta dagli altri stadi del nostro Paese. "Praticamente tutte le città italiane costruiscono il proprio stadio all'incirca tra il 1920 e il 1940” spiega l’architetto Piantelli.
“Sono stadi extramoenia, esclusi dalla dinamica urbana. In quel momento non è ancora disponibile un linguaggio architettonico specialistico, e tutti i progetti ‘saccheggiano’ quello degli edifici civici”.
Questa tendenza, tuttavia, si inverte nel corso degli anni Sessanta, quando vengono aumentate le capienze degli impianti e intorno a essi crescono la città: “Non si tratta più luoghi periferici, ma di veri e propri quartieri. Lo stadio si trasforma in fatto urbano. Ed è proprio in concomitanza con questo salto di dimensione che si perde la connotazione di edificio civico: da questo momento in poi vince l'aspetto tecnico, e lo stadio diventa infrastruttura sportiva, recidendo il legame con la città”.
Un cambio di linguaggio anche a livello progettuale, come osserva Piantelli: “Si tratta di un passaggio che ho visto risaltare con grande evidenza, quando mi sono posizionato dentro al cortile del Lazzaretto per scattare una foto".
"Da quell'angolazione visuale si vedeva bene che la struttura originaria dello stadio risalente al 1928 aveva un lessico architettonico compatibile col Lazzaretto stesso, mentre spostando lo sguardo verso le tribune costruite negli anni Sessanta si notava un cambiamento enorme, traumatico: il passaggio a un lessico ingegneristico, che aveva soppiantato completamente quello architettonico. I due mondi non si parlavano più".
"La nostra idea di realizzare un parcheggio interrato è nata proprio dalla volontà di liberare il cortile del Lazzaretto dall'impiego come parcheggio, per noi inconcepibile ma fino a quel momento dato per scontato".
Dal confine al bordo: la via verso la rigenerazione urbana
Dopo aver inquadrato il contesto, Piantelli parla del concept alla base dell’intervento sul Gewiss Stadium, che è rimasto un punto fermo in tutto l'iter progettuale.
"Da Confine a Bordo” spiega: “questo è stato, in estrema sintesi, il nostro approccio al progetto dello stadio di Bergamo. La normativa di settore obbligava a individuare un'area di sicurezza tra lo stadio e la città, un'area fisicamente delimitata da sottrarre all'uso collettivo. In questo caso, noi ci siamo proposti invece di eliminare lo spazio tra la città e l'edificio, riconsiderando le ragioni della normativa, per fare in modo che il Confine (impermeabile) diventasse Bordo (poroso). In questo passaggio da Confine a Bordo, il tessuto urbano acquista una nuova piazza, tra le più estese di Bergamo, e un nuovo parco. L'edificio, insomma, viene riconsegnato alla dinamica urbana".
"Si accede allo stadio da un livello superiore, perché il piano terra è dotato di negozi al servizio del quartiere. Al primo livello corre un anello distributivo in cui abbiamo traslato quell'area di servizi che non era possibile realizzare all'esterno dell'edificio, e che è considerato spazio sicuro: a questo scopo i vigili del fuoco ci hanno richiesto che la pelle esterna fosse al 30% aperta e ventilata. Le nostre lamelle sono quindi separate, appunto per assicurare la ventilazione”.
Il progetto del Gewiss Stadium raccoglie insomma una sfida che è innanzitutto architettonica e urbanistica, e si spinge oltre le esigenze della performance sportiva e dell'accoglienza degli spettatori, percorrendo una via inedita per chi progetta stadi in Italia.
Piantelli: "Di solito si pensa allo stadio come infrastruttura sportiva "tecnica" oppure come a un oggetto di design, più o meno fuori scala rispetto al tessuto urbano. Quello che interessava a noi, invece, era provare a riflettere sull’idea che intervenire su un impianto sportivo esistente potesse diventare una reale occasione
di rigenerazione urbana: per pensare allo stadio come fatto urbano, dentro la città e dentro la sua dinamica sociale ed economica. Bergamo è caratterizzata da un forte disegno urbano, con le mura veneziane che dal 2017 sono patrimonio dell’Unesco e un paesaggio naturale molto presente, e in qualche modo anticipa un prossimo scenario nazionale, in cui tutte le principali città italiane saranno chiamate a interrogarsi sul futuro del proprio stadio: ripensarlo come fatto urbano, oppure costruire in periferia un nuovo impianto integrato?
Noi, col progetto dello stadio di Bergamo, abbiamo imboccato la prima strada. La strada della rigenerazione urbana".
Il progetto che aiuta a riscrivere la normativa
Una strada ambiziosa, che in partenza, come detto, trovava l'ostacolo più grande nella normativa italiana in materia di stadi: "Si tratta di una normativa pensata per impianti nuovi, che impone di prevedere uno spazio esterno di prefiltraggio con capienza di 2 spettatori a metro quadro” spiega l’architetto.
“Per un impianto da 24.000 posti come quello di Bergamo, andrebbe quindi garantito uno spazio esterno da 12.000 m2 in pieno centro urbano. Ciò è fattibile nel caso di stadi situati in aree periferiche come il Friuli di Udine o lo Juventus Stadium a Torino, ma non in quello del Gewiss Stadium. L'unica alternativa, adottata infatti nella situazione precedente al nostro intervento, era quella di ricavare un'area recintata, che però di fatto escludeva lo stadio dalla partecipazione alla vita urbana. Quello che noi abbiamo fatto, creando un precedente assolutamente nuovo anche per un ripensamento della normativa, è smontare questo "confine", annullando ogni linea di separazione fra stadio e tessuto urbano".
"Quando siamo andati a presentare il progetto a Roma, le nostre esigenze sono state perfettamente comprese e ci è stato concesso di andare in deroga rispetto alla normativa vigente, avvicinandola di fatto a quello che diventerà dopo un opportuno processo di revisione.
La differenza vera, nel nostro caso, è che lo stadio torna a essere l'edificio civico che era in origine: partecipa alla vita della città. Tutti i suoi fronti possono essere toccati dal passante, in ogni momento della settimana. Credo che la più grande portata innovativa del nostro progetto stia in questo".
In un intervento così sfidante dal punto di vista della normativa, verrebbe da pensare che la questione sia stata affrontata in una prima fase dell'iter progettuale. Tuttavia, Piantelli ci spiega che è avvenuto l'esatto contrario, e che si tratta di una costante nel suo metodo di lavoro: “Della normativa mi occupo alla fine, non all'inizio. Le norme non vengono scritte dagli architetti, e sono dettate da considerazioni di ordine tipologico: limitandosi a seguirle in modo pedissequo non si troverebbero le soluzioni architettoniche ideali per un edificio iper-specialistico e il suo contesto, ma si rimarrebbe imprigionati nella tipologia".
"Per fare un esempio legato sempre allo stadio, la scelta di una pianta rettangolare è stata dettata dalla relazione col Lazzaretto, che non presentava problemi nella configurazione iniziale degli anni Venti del secolo scorso, ma era stata interrotta dall'aggiunta successiva delle curve. Il percorso che abbiamo seguito, dunque, è stato quello di ottenere un risultato convincente, a partire dal quale confrontarci con la normativa, se possibile forzandola e dando impulso a una sua revisione. Quando è stata approvata la deroga, il nostro responsabile della sicurezza mi ha detto: 'Ti rendi conto che stiamo facendo la storia?' In effetti aveva ragione: era la prima volta che in Italia veniva concessa una deroga di questo tipo."
Il cambio di paradigma
Oltre che a livello normativo, il caso del Gewiss Stadium può indicare la strada ad altre città in termini di filosofia di progetto e rigenerazione urbana?
Piantelli: "Credo di sì. Ad esempio, lo stadio di Como è situato in un contesto meraviglioso, col Novocomum di Terragni e il lago nelle vicinanze. Abbiamo città con un patrimonio architettonico tale da non avere alcun bisogno di creare edifici fantasmagorici e senza alcuna relazione col contesto nelle periferie per dotarle di uno stadio al passo coi tempi. Anche a Firenze ci sarebbe una possibilità di questo tipo, ma manca l'intenzione della proprietà della squadra, che invece preferirebbe una soluzione basata sul "modello integrato", un luogo non più dedicato unicamente allo sport, ma in qualche modo parte dell'offerta culturale della città. Il che significa, alla fine, realizzare un centro commerciale, perché la logica è la stessa“.
"Il nostro progetto propone appunto un possibile cambio di paradigma rispetto a queste architetture concepite per una vista dal drone, senza alcuna relazione con il contesto: per fare in modo che lo stadio torni a essere parte della città, dobbiamo abbandonare la letteratura di settore e cercare una nuova strada, la "creatività di necessità" come ci ha insegnato Deleuze.
E, come sottolineavo prima, i cambiamenti che hanno interessato lo stadio di Bergamo nell'arco di un secolo rispecchiano fedelmente la storia degli stadi dei capoluoghi italiani costruiti tra gli anni Venti e Quaranta: questo significa che l’approccio da noi adottato per il Gewiss Stadium è riproducibile, e che anche in altre città si può fare rigenerazione urbana partendo da un’infrastruttura sportiva".