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- Di Matteo Ferrario
La città che vive e si trasforma
Round Table talksUscito il 10 luglio 2024 per la casa editrice Il Poligrafo e presentato nella cornice evocativa dell’ ADI design museum di Milano con il giornalista di Radio 24 Maurizio Melis nel ruolo di moderatore, il saggio “Esseri urbani". La città relazionale e i nuovi paradigmi dell’abitare” dell’architetto Joseph di Pasquale dichiara i suoi intenti sin dalla scelta di non includere immagini, tabelle o diagrammi.
Le circa ottanta pagine di solo testo, inclusa la prefazione dell’ex assessore milanese all’urbanistica Carlo Masseroli, trattano infatti di architettura e città senza ricorrere al supporto di un apparato iconografico: un esplicito appello a riscoprire l’attività teorica e il dibattito culturale, non a caso sottolineato dallo stesso autore nella conversazione con Melis.
Fondatore e titolare dello studio JDP Architects di Milano, che annovera il grattacielo cinese Guangzhou Circle e il ChorusLife di Bergamo tra le sue principali realizzazioni, Joseph di Pasquale è anche professore a contratto e ricercatore presso il Politecnico di Milano [qui l’intervista all’architetto nel suo studio].
La riflessione teorica è, dunque, parte integrante dell’attività di progetto dell’autore, che con questo volume si propone di spostare il focus da modelli urbani e abitativi derivanti da logiche ancora profondamente novecentesche a un nuovo approccio, incentrato sull’essere umano e i suoi bisogni sociali, relazionali e abitativi, che non rimangono cristallizzati ma cambiano di pari passo con le età della vita.
La crisi della città “funzionalista” e la sua eredità
Un tema che attraversa il libro, e ne costituisce in un certo senso la spina dorsale, è quello della critica all’approccio prescrittivo e razionale di matrice positivistico-illuminista che ha contraddistinto l’urbanistica del secolo scorso.
L’architetto individua tre tipi di rapporto fra progetto e comportamento sociale-umano, che sul piano teorico affondano le loro radici nel XIX secolo. I primi due corrispondono rispettivamente a un approccio marxista e a un approccio capitalistico-liberista al tema: sotto un certo aspetto due facce di una stessa medaglia, in cui è il modello socio-economico a generare l’architettura o a costituirne il fine ultimo. Joseph di Pasquale, che ha un passato nel cinema e vede l’architetto come uno “sceneggiatore dello spazio”, traccia un parallelo con il dualismo tra le due principali scuole di recitazione del Novecento: quella di Stanislavskij e quella di Mejerchol’d.
Il terzo approccio è quello utopista-demiurgico, in cui viceversa si attribuisce all’architettura e in generale all’ambiente costruito il compito di indurre deterministicamente taluni comportamenti ritenuti positivi e impedirne altri: quello del giovane Le Corbusier, che, scrive di Pasquale, “con fascinosi (e ingannevoli) tratti di gesso su di una lavagna racconta la giornata tipo dei futuri abitanti del suo Plan Voisin, nel quale prevedeva di radere al suolo il centro storico di Parigi per sostituirlo con un paradiso di grattacieli, parchi verdi e autostrade urbane”.
Molto critico è il bilancio che viene fatto dell’urbanistica novecentesca, fondata prevalentemente su requisiti igienico-sanitari - la bassa densità, individuata come rimedio al degrado sociale - o sulla zonizzazione e il conseguente pendolarismo casa-lavoro: una transumanza quotidiana di cui la subway londinese, osserva di Pasquale, costituisce l’esempio più impressionante.
Nella presentazione all’ADI design, ma anche in vari punti del testo, l’autore si sofferma sul tema della facciata posto dall’edilizia aperta, col progressivo abbandono della cortina stradale, la nascita della distanza dal confine e i primi esperimenti di siedlungen, che indeboliscono il rapporto tra fronte urbano e spazio pubblico: un processo culminante nella distruzione della gerarchia dei fronti che, scrive di Pasquale, caratterizza l’urbanistica razionalista.
In un quadro così delineato, la devastazione provocata nelle città europee - e, nello specifico, italiane - dai bombardamenti nella Seconda Guerra Mondiale, ha offerto paradossalmente le condizioni ideali per realizzare i sogni demiurgici di stampo lecorbusieriano.
La ricostruzione c’è stata, ma, in concomitanza con un boom economico e demografico, ha condotto a un fallimento del concetto di bassa densità, a una polverizzazione del tessuto urbano e al crescente disagio delle periferie: “i non luoghi generano non persone” scrive di Pasquale, che individua la causa di questa incapacità di creare relazioni sociali nel già citato approccio normativo di origine positivistico-illuminista, tutto basato su densità edilizia, indici di edificabilità, parametri e requisiti minimi.
Solo dagli anni Novanta del secolo scorso in poi i centri storici italiani tornano al centro dell'interesse, di pari passo con una certa riconquista di spazio pedonale urbano, e a partire dai primi anni 10 le città tornano a crescere, sperimentando anche la promessa relazionale contenuta in formule abitative come il co-living: fenomeno accostato da Joseph di Pasquale a quelli del co-working negli spazi di lavoro o di Uber nei trasporti.
Il cambio di paradigma: dal modello al desiderio
La problematica che si pone oggi di fronte a noi in ambito urbano è, quindi, duplice: da un lato la distanza fra relazioni urbane e spazio fisico, dall’altro la necessità di superamento di modelli abitativi che non rispecchiano più le nostre esigenze relazionali, professionali ed esistenziali.
Quella di Joseph di Pasquale è una critica operativa, di chi è abituato a confrontarsi sul campo con un tema progettuale e offrire soluzioni. Il percorso di riflessione destinato a culminare in “Esseri urbani” prende avvio infatti nel periodo conclusivo del lavoro sul progetto del Guangzhou Circle: un’esperienza fondamentale ma anche straniante per la routine di viaggi che, racconta l’autore, rischiava di minare il suo stesso concetto di un luogo da chiamare “casa”.
L’architetto si interroga sulla funzione sociale della sua professione e sul concetto di “sostenibilità culturale”. Chiusa l’esperienza cinese, ritorna all’università e alla ricerca, indagando in uno studio di dottorato finanziato dal Politecnico di Milano la relazione tra comportamenti abitativi emergenti e tecnologie ibride modulari nei contesti urbani, in collaborazione con i docenti Elena Mussinelli e Andrea Tartaglia.
Una scelta significativa per di Pasquale, che individua proprio nell’istruzione e nella città (paideia e polis) i due pilastri della comunità umana, e parla di un’infrastruttura relazionale da rigenerare, citando Edoardo Persico nel suo “appello etico a ricentrare l’attenzione professionale e l’impegno progettuale nella ricerca di soluzioni che costituiscano davvero «sostanza di cose sperate», di desideri abitativi attesi, di valori condivisi e identitari”.
Il punto di partenza è lo studio delle trasformazioni sociali e culturali che hanno interessato i due secoli precedenti al nostro: come l’affermazione del modello di famiglia nucleare, considerato un’anomalia storica da uno dei riferimenti principali dell’autore, lo storico Peter Laslett, che già a suo tempo aveva individuato una tendenza al ritorno alla “famiglia allargata”. L’architetto cita anche Zygmunt Bauman, per cui l’individualizzazione della società contemporanea non implica affatto una riduzione del desiderio di socialità, anzi una maggiore spinta, che si accompagna al passaggio da un sistema centrico o policentrico a costellazioni relazionali.
La stessa analisi etimologica del termine “appartamento”, ormai storicamente associata al modello abitativo della famiglia nucleare, individua una spinta al nascondimento, rivelatasi sul lungo termine deleteria per il tessuto urbano e sociale.
La pausa relazionale forzata con cui ha coinciso per tutti noi la pandemia, osserva di Pasquale, ha rappresentato anche un’occasione per riflettere sulla città e prendere ulteriormente atto dell’assurdità e dell’obsolescenza del modello “funzionalista” di città, soprattutto in un’epoca in cui una parte considerevole di quelli un tempo chiamati “lavori di concetto” può essere svolta senza trasferimento di persone e l’inquinamento ambientale connesso.
Occorre quindi un cambio di paradigma, che per il fondatore di JDP architects si accompagna a un superamento delle categorie di “condominio” e “appartamento”, e a una ricerca di nuovi termini da sostituire a quelli utilizzati finora in tema urbano: dalla competizione tra i “modelli” si passa alla statistica dei “desideri” abitativi, che sono diventati dinamici. Allo stesso modo non si parla più di “indurre”, ma piuttosto di “consentire” o “non impedire” cambiamenti comportamentali.
Altra parola chiave, addirittura al centro dell’esperimento di ChorusLife Bergamo [qui la nostra intervista sul progetto] è “prossimità”.
Quella che di Pasquale vede delinearsi nelle città è una vera e propria rivoluzione, nel senso di ritorno al punto di partenza: le relazioni e il concetto di clan o famiglia allargata. Il passo successivo deve essere quindi quello di sostituire il parametro del “potenziale relazionale” a quello ormai risaputo della densità edilizia.
Dall’appartamento al perimetro domestico adattivo: la seconda ricostruzione
La tipologia residenziale è quella che necessita delle maggiori attenzioni in tema urbano secondo di Pasquale , ed è proprio su questo tema che l’architetto sta portando avanti il suo nuovo progetto sperimentale: l’operazione privata di housing adattivo nel quartiere NoLo di Milano, di cui ci ha parlato per la prima volta nella visita al suo studio [qui l’intervista], è da considerare a tutti gli effetti un banco di prova alla scala della singola cellula abitativa delle teorie contenute in “Esseri urbani”.
Le cinque unità che verranno realizzate in quest’occasione corrispondono a un tentativo di ripensare l’abitazione come “infrastruttura fisica e digitale compatibile con nuove modalità di vita domestica”: un “perimetro domestico adattivo” che, auspicabilmente, consenta di riannodare quei fili di diversi colori tesi tra le case ne “Le città invisibili di Italo Calvino”, citate dall’autore come metafora di relazioni generate dalla prossimità.
La flessibilità e la modularità erano forse troppo avanti rispetto ai tempi quando si iniziava a parlarne, negli anni Sessanta-Settanta, ma oggi, sottolinea l’architetto, è il modello abitativo a essere troppo arretrato rispetto alla logica del “plug and play” su cui è ormai costruita la nostra modalità di fruizione dei vari servizi.
Il testo indica dunque nella condivisione dinamica del perimetro abitativo il principale elemento di innovazione tipologica dei prossimi anni: dall’architetto demiurgo, insomma, di Pasquale vede un passaggio all’architetto interprete di desideri.
La prospettiva è quella di una seconda ricostruzione, resa ancor più necessaria da uno stock residenziale giunto ormai alla fine del suo ciclo di vita.
È l’occasione per ricostruire secondo principi nuovi, adeguati alla struttura sociale in cui viviamo
La scintilla e il tronco
La parte conclusiva della presentazione, al pari dell’ultima sezione del libro, allarga la riflessione ad altre figure professionali, rivelando anche il punto di partenza della riflessione alla base di “Esseri urbani”, e persino l’origine del suo titolo.
Si sono infatti unite alla conversazione tra Melis e Joseph di Pasquale , trasformandola in tavola rotonda interdisciplinare, la psicanalista e psichiatra Ilde Kantzas , la filosofa e sociologa Federica Colzani e l’avvocato Elena Coda. La definizione di “esseri urbani”, coniata dalla stessa Kantzas, nasce appunto da un fronte di riflessione comune aperto in piena pandemia, nel 2020, e portato avanti per due anni nella forma del cartel, adottata da Jacques Lacan per l'approfondimento e lo sviluppo professionale-culturale in ambito psicanalitico.
Colzani ha messo fuoco il concetto di “bene relazionale urbano”, mentre Coda ha introdotto l’argomento dello sguardo femminile sulla casa e della relazione diretta tra mondo materiale e dimensione spirituale che questo implica.
Joseph di Pasquale fa riferimento al cartel coordinato dalla psicanalista come alla scintilla che l’ha condotto alla stesura del libro, definendo invece il dottorato ottenuto al Politecnico di Milano nel 2019 come il “tronco massiccio che ha consentito alla fiamma del testo di attecchire”.