- INFO POINT
- Di Matteo Ferrario
- Dove: Modena
Il gioco di squadra al servizio del sociale
ProtagonistiL’appuntamento di Promised Lands con le visite agli studi ci ha portato questa volta nel cuore dell’Emilia-Romagna, per conoscere da vicino una tra le maggiori società italiane di progettazione integrata a capitale italiano, in cui coesistono architettura, ingegneria, urbanistica e una forte vocazione sociale.
Politecnica Società Cooperativa nasce nel 1972 dall’intuizione di nove giovani ingegneri e architetti di Modena, che decidono di mettere a sistema diversi tipi di competenze nella prima incarnazione della società, chiamata Cooperativa Ingegneri e Architetti (C.I.A.). Negli anni Ottanta C.I.A. incorpora Tecnoexport e avvia un’intensa collaborazione con Idroforma, che nel 1994 viene inglobata insieme a Tecnoprogetti nell’attuale nucleo di Politecnica.
Da allora, la progettazione integrata è sempre stata al centro della filosofia progettuale della società: una caratteristica che oggi è diventata ancor più rilevante di quanto già non fosse allora, considerando l’accresciuta complessità dei temi progettuali e i molti livelli di analisi che coinvolgono.
I numeri presentati dalla Presidente Francesca Federzoni nella recente assemblea dei soci 2024, che si è tenuta come da tradizione in un edificio progettato dalla società – lo spazio’TENGO, nuovo centro direzionale di Coop Reno a Castel Guelfo (Bo) – parlano di una crescita importante: il valore della produzione a fine 2023 è pari a 29,76 milioni di euro (+17,5 rispetto all’anno precedente), con una redditività del 13,81% (circa tre punti percentuali in più) e un patrimonio netto di poco inferiore ai 9 milioni di euro (contro i 7,4 milioni di euro del 2022). I lavori acquisiti nel 2023 arrivano a un totale di 29 milioni, di cui 15 legati al mercato italiano pubblico e alla spinta del PNRR, 14 al mercato privato e 4 al mercato estero [qui la nostra intervista al Direttore commerciale estero di Politecnica].
E proprio Francesca Federzoni, presidente di Politecnica dal 2011 e vicepresidente OICE, ci ha accolti nella sede principale della società a Modena, in cui l’interazione continua tra le varie professionalità è evidente già dal layout dei tre piani su cui sono distribuite le postazioni di lavoro.
Una missione tra umanesimo e tecnica
Francesca Federzoni si è laureata in ingegneria elettrotecnica a Bologna dopo un biennio comune tra le varie facoltà scientifiche a Modena. “Questo” spiega “è un territorio in cui tradizionalmente si respira più industria che costruzioni, ma io non ero particolarmente interessata a entrare nel mondo aziendale. A Modena c’erano all’epoca due realtà attive nel mondo della progettazione organizzata, entrambe molto affermate: Politecnica e Ingegneri Riuniti. Politecnica, che nel 1995 era già un'eccellenza nazionale, ha risposto per prima al mio invio di curriculum. È nata così una storia d’amore che prosegue tuttora”.
Il percorso professionale di Federzoni inizia con la progettazione di impianti per ospedali e grandi mercati agroalimentari, e prosegue con una carriera interna che dopo un anno e mezzo la porta a diventare socia.
Dopo un decennio di progettazione diventa direttore commerciale, occupandosi più del settore privato che di gare pubbliche. Fino al 2011, quando avviene il passaggio di testimone con l'allora presidente di Politecnica, Gabriele Giacobazzi: “La sua è stata una grande presidenza, durata trentadue anni, che ha permesso poi a Politecnica di crescere ancora”.
L’attuale presidente ricorda un concetto fondante di Politecnica, particolarmente caro al suo predecessore: quello dell’empatia.
“Fare progetti mettendosi nei panni di chi li utilizzerà” spiega. “L'empatia è questo, e se si riesce a interiorizzarla nel rapporto col cliente finale e il committente, diventa poi un driver importantissimo anche per la capacità di lavorare in team. Il modello di proprietà diffusa, che in Politecnica è molto forte, implica che quando ci si siede attorno al tavolo non vi sia una leadership dovuta alla proprietà ma alla cultura, all’importanza di ciascuno in funzione delle proprie competenze tecniche o del ruolo che ha nel progetto”.
Questa democraticità del processo, osserva Federzoni, lo rende forse più difficile e faticoso, ma non più caotico, semmai più ricco di punti vista eterogenei: “Un’altra caratteristica di Politecnica è quella di coinvolgere varie generazioni, con una rappresentanza costante di persone diverse: donne e uomini più o meno giovani. La costante è che siamo noi a metterci al servizio della comunità e non viceversa, e questo a maggior ragione quando per un’opera vengono spesi soldi pubblici, come avviene in circa metà dei nostri progetti”.
Anche per questo tipo di approccio, è difficile riscontrare elementi di ripetitività negli edifici o nelle opere infrastrutturali rispetto a realizzazioni precedenti: il processo, in altre parole, precede la scelta di linguaggio architettonico e riveste un’importanza superiore.
La sanità come fiore all’occhiello
“L’edilizia sanitaria è il nostro fiore all'occhiello” racconta la presidente di Politecnica. “Ci piace proprio progettare ospedali, sia in Italia che all’estero, e questo tipo di passione crea continuità e attrattività verso i talenti”.
E una struttura ospedaliera, sottolinea, non può essere il frutto di un gesto architettonico puro.
“L'architettura è importante, così come la sensibilità - oggi forse più sviluppata che in passato - nel creare ambienti di cura confortevoli. Ma a fare la differenza in un ospedale sono i medici e le attrezzature: un buon progettista deve quindi avere sempre sotto controllo il giusto valore economico di ogni elemento, e dare la precedenza a ciò che è più necessario”.
Anche questo è un concetto che fa parte dell’heritage di Politecnica: in assenza di una norma specifica, la correttezza sul tema economico diventa una scelta progettuale.
“Un’altra parola chiave per la nostra architettura e la nostra ingegneria è sobrietà: una parola che vorrei che chi lavora qui si tatuasse su un braccio. Per me si tratta di una missione, a prescindere dall’ideologia” spiega Federzoni. “Politecnica è nata nel 1972, quando le cooperative avevano una connotazione molto politica. Da allora ci sono stati molti cambiamenti, e la forma cooperativa, che negli ultimi anni ha raggiunto a mio avviso il suo apice, è diventata soprattutto un modo per condividere principi etici".
Il progetto è etica. Architetti e ingegneri sono fortunati, perché nessuno come loro ha la possibilità di realizzare in concreto i cosiddetti SDGs, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU, come ridurre la povertà o riuscire a portare la sanità ovunque. Non solo nelle aree più svantaggiate del pianeta ma anche nella moderna Europa, dove nel corso della pandemia abbiamo toccato con mano il fatto che non sempre sia così scontato avere accesso alle cure.
E proprio da allora, osserva la presidente, quello delle strutture ospedaliere è diventato un tema progettuale molto meno scontato, caratterizzato da una ricerca di flessibilità che le renda adatte anche a contesti magari non ancora immaginabili.
“Sono caduti sul territorio tanti investimenti su ristrutturazioni e riconversioni degli ospedali esistenti. Molte risorse sono arrivate anche dal PNRR” commenta. “Certo è difficile immaginare che tutti i soldi saranno spesi nei tempi e nelle modalità corrette, sia per la lentezza dei tempi di approvazione che caratterizza il nostro Paese, sia per un contesto che cambia talmente in fretta da non poter essere compatibile con la flessibilità del mondo pubblico: se, ad esempio, si fa un progetto di finanziamento di un ospedale sulla base di mutui e nel giro di due anni gli interessi passano dallo 0,1% al 10%, salta il quadro economico del progetto stesso. Non credo, tuttavia, che questo sia un problema esclusivamente italiano, tanto che l’abbiamo riscontrato anche lavorando in Danimarca, un paese molto più ricco, meno popoloso e più facile sotto vari aspetti. L’importante è che, pur tra mille difficoltà, il progetto sia in grado di atterrare, come sta avvenendo anche nel
caso che ho citato.
Di certo occorre moltissima voglia di buttare il cuore oltre l’ostacolo, anche a prescindere dai limiti previsti dal proprio contratto, e in questo credo che Politecnica sia un ottimo partner. Ad esempio, nel nuovo ospedale di Pordenone, che sta giungendo finalmente al termine, sono convinta che l'elemento vincente sia stato proprio questo spirito collaborativo dei tre attori principali della filiera: committenza, progettisti e impresa”.
Federzoni ricorda con orgoglio anche la corsa contro il tempo di Politecnica nel periodo dell’emergenza Covid, per donare progetto e direzione lavori di due hub di terapia intensiva a Modena e Baggiovara.
“I progettisti sono fortunati” ribadisce “perché hanno la possibilità di incidere in concreto sui temi sociali più urgenti. Questa missione, insieme alla redistribuzione fra i soci della ricchezza che Politecnica riesce a produrre, rende il modello cooperativo basato sulla proprietà diffusa una forma societaria straordinaria”.
Risorse umane e intelligenza artificiale
Per selezionare nuove figure tecniche adatte al contesto appena descritto - e anche, spiega Federzoni, per non farsi sfuggire la nuova ondata di laureati in architettura e ingegneria dopo anni che avevano segnato una certa crisi vocazionale nei rispettivi ambiti - due anni fa è stata introdotta all’interno di Politecnica la figura del responsabile risorse umane, in concomitanza con la certificazione di genere.
“Ci siamo posti il tema di come selezioniamo le persone che mandano la propria candidatura per lavorare da noi, in primo luogo per avere la certezza che il genere non fosse una discriminante, nemmeno a livello indiretto”.
“Fermo restando il requisito delle competenze, fondamentale quando cerchiamo candidati e candidate che hanno già qualche anno di professionalità alle spalle” prosegue Federzoni “la caratteristica principale che permette di iniziare un percorso professionale con Politecnica è la curiosità. Le persone curiose, dotate di personalità ma non protagoniste, qui da noi trovano tutti gli ingredienti per poter mettere le proprie qualità al servizio degli altri”.
La presidente sottolinea una scelta molto anglosassone e ancora poco frequente nel nostro paese, di cui abbiamo parlato anche negli incontri con Leonardo Cavalli di One Works [qui l’intervista] e Michele Rossi di Park Associati [qui l’articolo completo]: l’assenza di nomi propri e riferimenti personali nella denominazione della società, a garanzia di libertà e continuità della sua gestione futura.
“Nell’architettura l'autorialità è per forza di cose un po' più sentita, ma vedo che ormai diversi studi, soprattutto quelli più giovani, vanno in questa direzione” commenta Federzoni. “Negli ultimi anni, in Italia, abbiamo avuto la fortuna di vederne nascere alcuni molto importanti, di cui sarebbe un peccato dilapidare il patrimonio culturale nell’arco di una sola vita professionale”.
Come società a proprietà diffusa, in ogni caso, Politecnica ha sempre inseguito fin dalle proprie origini il concetto di intergenerazionalità: “Un elemento molto importante nell'approccio professionale” commenta Federzoni. “Un altro nostro grande vantaggio competitivo è che, non essendoci la possibilità di ereditare quote, i pochi figli o figlie di soci che entrano in Politecnica lo fanno esclusivamente per meriti propri, e non per vincoli di sangue”.
Mediamente, la questione del ricambio viene affrontata all’interno di Politecnica con una decina d’anni di anticipo: “Abbiamo già compiuto il passaggio dalla generazione dei soci fondatori a quella attuale dei cinquantenni, e adesso stiamo gettando le basi per il prossimo. Ho visto l’orgoglio negli occhi dei fondatori nel 2022, in occasione del cinquantesimo anniversario, e spero di vivere lo stesso tipo di emozione in futuro, vedendo quello che sarà diventata Politecnica”.
L’evoluzione dei processi aziendali passa inevitabilmente anche da strumenti di cui si è appena iniziato a esplorare il potenziale, come l’intelligenza artificiale.
“Uno degli aspetti più forti che vediamo in questi algoritmi dal momento della loro introduzione in Politecnica è la possibilità di creare un archivio interrogabile: il nostro patrimonio tecnico può diventare una banca dati organizzata e consultabile da chiunque, dandoci un vantaggio competitivo infinito, perché abbiamo una storia. In anni di direzioni lavori, abbiamo accumulato esperienze e anche commesso errori, che in questo modo i ragazzi e le ragazze più giovani avranno la possibilità di non ripetere. Al tempo stesso, l’intelligenza artificiale aiuterà a colmare il gap informatico delle generazioni meno giovani, consentendo loro di continuare a essere coinvolte nel processo. Non credo invece che siamo pronti per fare a meno dell’intelligenza umana nell’attività di progetto vera e propria, o almeno non credo che la mia generazione vedrà dei grandissimi risultati in questo senso”.
Vincere col gioco di squadra: concorsi e collaborazioni
Con la presidente di Politecnica abbiamo parlato anche della consuetudine a collaborare con altre realtà, fra cui diversi studi di architettura italiani ed esteri.
“Operando nel mercato pubblico, abbiamo un ufficio gare molto organizzato” spiega. “Nei bandi pubblici le richieste sono talmente specifiche che, a prescindere dalle competenze, per vincere è necessario creare la migliore squadra possibile. Quella di collaborare con altri è anche una grandissima fortuna, perché porta contaminazione e crescita. Politecnica nasce con un’identità più legata a ingegneria e urbanistica. L'architettura si è sviluppata quando appunto abbiamo iniziato a lavorare su bandi pubblici con studi esterni: soprattutto in certi settori, l’autorialità degli studi di architettura è un fattore ancora molto importante”.
Federzoni cita in particolare Behnisch Architekten, studio tedesco tra i primi a occuparsi di efficienza energetica, fondato da Stefan Behnisch, figlio del celebre architetto Günter Behnisch: “Abbiamo collaborato con loro alla fine degli anni Novanta, sul progetto della nuova sede del comune di Ravenna, che ha avuto una lunga serie di vicissitudini ed è giunto al termine proprio in questo periodo. Un progetto sfortunato, ma che ci ha insegnato molto su temi legati alla sostenibilità, in cui la Germania era più avanti dell’Italia. Questa nostra umiltà e disponibilità costante a imparare, credo anche legata a un senso pratico molto emiliano, ci ha permesso di diventare grandi in settori in cui eravamo entrati in sordina, come quello delle infrastrutture".
Ci sono anche progetti di cui ci occupiamo interamente dall'inizio alla fine, ma quelli in cui lavoriamo insieme ad altri restano una grandissima fortuna e fonte di arricchimento del nostro bagaglio culturale, che spero non si perda.
La rigenerazione urbana come ritorno all’umanesimo
La rigenerazione urbana, sottolinea Federzoni, non può che far parte dell’orizzonte di una società di progetto che ha sede legale in Emilia-Romagna, regione tra le prime a dotarsi di una nuova legge urbanistica, cui sono seguiti i vari PUC adottati dai comuni.
“Come Politecnica abbiamo avuto la fortuna di partecipare ad alcuni progetti che sono arrivati al loro compimento e che abbiamo potuto osservare a posteriori - sforzo a mio avviso obbligatorio per una società di progettazione - per capire quanto siamo riusciti a incidere rispetto all’obiettivo iniziale. Abbiamo partecipato ad alcuni progetti rientranti nel piano delle periferie del governo Renzi, in cui erano stati stanziati buoni finanziamenti. A Modena, caratterizzata come altre città italiane da un nucleo urbano principale situato tra il centro storico e la stazione, abbiamo collaborato alla rigenerazione di un’area all’esterno della fascia ferroviaria”.
Da una semplice cultura del bello, osserva Federzoni, si è passati a un concetto di riappropriazione dello spazio pubblico e della vita all’aperto: “In questo ambito, un buon progetto è quanto di più integrato ci sia, perché l'ingegneria e l'architettura rappresentano solo uno degli ingredienti: l'economista, il sociologo e l'artista diventano altrettanto fondamentali. Non ho l'ingenuità di pensare che il progettista possa avere lo stesso peso decisionale del finanziatore, ma sono convinta che un'idea progettuale, se nasce da un pool contaminato dal maggior numero possibile di competenze, possa veramente far rinascere i quartieri".
"Si tratta di una sfida complessa, che, in un territorio molto costruito come quello italiano, richiede al progettista la disponibilità a mettere in discussione le proprie idee, confrontandosi a volte anche con la volontà contraria di comunità locali, o con una certa retorica anti-cemento diffusa in varie regioni. Forse questa assunzione di responsabilità legata al ruolo del progettista è l’aspetto che vedo un po’ carente nei più giovani. Ma per chi ama questo lavoro, come nel caso degli ospedali, si tratta di un ambito ideale in cui cimentarsi. Mai come nella rigenerazione urbana di oggi” conclude la presidente di Politecnica “il ruolo del progettista torna a essere quello rinascimentale”.