- INFO POINT
- Di Matteo Ferrario
- Dove: Milano
Forma e sostanza
ProtagonistiCosa accomuna l’atto creativo di un architetto a quello di un regista o di uno sceneggiatore?
È una domanda che a noi di Promised Lands interessa al punto da esplorarne le implicazioni in una rubrica, Gli spazi delle storie [qui la prima uscita], dedicata agli incroci più insospettabili tra progettazione, letteratura, cinema e serialità televisiva, e non abbiamo potuto fare a meno di porla anche al protagonista di oggi del nostro ciclo di incontri con gli architetti.
Ad accoglierci a Milano nel suo studio, infatti, è questa volta, per riprendere una definizione usata dal diretto interessato nell’intervista di qualche tempo fa sul progetto di ChorusLife Bergamo [qui l’articolo], uno sceneggiatore dello spazio: il fondatore e titolare dello studio JPD Architects, Joseph di Pasquale, che nell’industria cinematografica ha lavorato davvero, e in diverse vesti.
E, per rimanere nel vocabolario di questa sua vita artistica precedente alla fondazione dello studio, il set in cui prendono forma i progetti di JDP è particolarmente significativo per un architetto milanese: un ex spazio industriale, situato nel quartiere di Lambrate a pochi isolati dallo storico insediamento Maserati-Innocenti.
Dopo una visita al grande spazio a doppia altezza occupato da plastici e tavole di progetto al piano terra, abbiamo seguito di Pasquale al piano superiore, dove sono situati il suo ufficio e le postazioni dei collaboratori.
Un modello in legno del Guangzhou Circle, tra le realizzazioni più iconiche dello studio, anticipa uno dei temi dell’incontro, ma la chiacchierata parte da più lontano: gli anni della formazione.
“Una formazione artistica” sottolinea di Pasquale “perché prima della facoltà di architettura ho frequentato il liceo artistico e sono piuttosto orgoglioso di avere un approccio che parte dalla forma, anche se poi l’ho completata con una formazione tecnica altrettanto sostenuta: ai miei tempi, oltre a 15 materie artistiche o umanistiche, la facoltà di architettura al Politecnico di Milano ne prevedeva altre 15 di aree tecnico/scientifiche”.
Dopo una prima esperienza in uno studio che l’ha portato spesso in cantiere - “quelli che chiamo i miei due anni da muratore” - trascorre un anno a New York, dove frequenta una scuola di cinema. Al termine di un periodo in cui collabora a varie produzioni indipendenti, decide di dedicarsi esclusivamente all’architettura, fondando nel 2008 il proprio studio.
Forma e mise en scéne: tra Cézanne e Ejzenstejn
“Soprattutto nella visione intellettualistica che ha contraddistinto un certo tipo di dibattito nella seconda metà del secolo scorso, la parola ‘formalismo’ ha sempre una connotazione negativa” osserva Joseph di Pasquale. “Io la penso al contrario: sono convinto che la forma sia il punto di partenza e di arrivo dell'architettura. Cézanne diceva che bisogna saper ‘vedere dentro il proprio vedere’".
"Percepire la forma e saperla interpretare: questo è un approccio che ho sempre considerato valido e cercato di trasferire dalle arti figurative all’architettura, al pari della visione dinamica dello spazio che è propria del cinema. Quando Sergej M. Ejzenstejn parla della mise en scène nelle Lezioni di regia, descrive l'impostazione della scena nello stesso modo in cui un architetto dovrebbe concepire uno spazio: in base a quello che succederà al suo interno. Se si ascolta un regista parlare di una scena e un architetto parlare di uno spazio, si potranno notare numerose analogie”.
Ecco, dunque, i punti di partenza del processo progettuale di JDP architects: guardare dentro la forma e mise en scène come orientazione dello spazio. Ma c’è un’altra parola chiave che attira l’attenzione quando si scorre il portfolio dello studio, e che spicca in due progetti residenziali contraddistinti con numeri progressivi: le Exogram House 1 e 2.
EXOGRAM HOUSE 1
“La parola ‘esogramma’ è un neologismo che ho coniato per definire uno strumento di lavoro che serve a me per primo nel processo, e che è strettamente legato all'iconicità della figurazione architettonica” spiega. “Perché un edificio rimane impresso nella memoria, e altri no? Ci sono delle ragioni specifiche per cui ciò accade”. È con il concetto di esogramma, riguardante l’involucro e il suo valore iconico, che l’attività di progetto di JPD architects si propone di indagare tali ragioni. “Nelle due case unifamiliari che ho chiamato Exogram 1 ed Exogram 2, ad esempio, l'involucro all’interno del quale sono organizzati gli spazi assume un forte valore simbolico”.
EXOGRAM HOUSE 2
Gli spazi del lavoro
La progettazione degli spazi per il lavoro è un tema ricorrente nell’attività di JDP architects, come testimoniano le numerose realizzazioni in ambito industriale e terziario, dal Quartier generale Aerea spa a Turate (Mi) a una fabbrica di motori ad Alzano Lombardo (Pc), passando per lo stesso Guangzhou Circle, destinato in prevalenza a uffici.
Quello del lavoro è forse anche un ambito in cui il cambio di paradigma è stato ancora più profondo e rapido negli ultimi anni, richiedendo al mondo dell’architettura uno sforzo interpretativo ulteriore: “Il tema, oggi, è capire qual è lo spazio specifico che è necessario destinare al lavoro, soprattutto in termini di relazione tra persone. Ci sono funzioni e attività che non possono essere svolte da remoto, o comunque presentano qualche difficoltà, e questo vale ad esempio anche per noi architetti”.
Rispetto alla tendenza recente a integrare funzioni ricreative negli uffici, di Pasquale assume una posizione netta:
Lo spazio di lavoro deve favorire la concentrazione, aiutarci a sfruttare bene il nostro tempo, non a distrarci. C’è il tempo in cui si lavora e il tempo in cui non si lavora: questa diluizione tra l’uno e l’altro, dal mio punto di vista, è disordine.
L’architettura del quotidiano
A un progettista che considera l’architetto come uno sceneggiatore dello spazio, è inevitabile chiedere se ci sia uno scrittore o un cineasta cui si sente particolarmente vicino al livello di metodo.
“Ci sono tre registi che considero miei riferimenti” risponde di Pasquale: “Charlie Chaplin, Stanley Kubrick e Vittorio De Sica. In particolare quest’ultimo, con il lavoro di sceneggiatura di Cesare Zavattini, è quello che sento più affine al mio approccio allo spazio urbano. Zavattini diceva che una sceneggiatura può nascere dal fatto di seguire una persona durante la sua giornata quotidiana, da quando si alza a quando va a dormire. La nostra architettura si occupa di questo: degli spazi della casa o del lavoro, della vita ordinaria. È in quelli che l'architettura ha un ruolo fondamentale: avremo la prova del suo corretto funzionamento nella misura in cui i fruitori non si accorgeranno della sua esistenza”.
Al pari della scrittura, dunque, per Joseph di Pasquale l’architettura è tanto più forte quanto meno ne percepiamo l’artificialità, ma al contrario ci avvolge in modo così naturale da non sembrare nemmeno architettura.
Il rapporto con la committenza
Spersonalizzazione è il termine con cui il titolare di JDP architects sintetizza il cambiamento avvenuto nella figura del committente.
“Molti anni fa era spesso una singola persona che interpellava un architetto per un’esigenza progettuale specifica, che si trattasse di una fabbrica o di una casa” spiega. “Si creava quindi un rapporto con un soggetto che aveva desideri, gusti e idiosincrasie, legate a una volontà personale. Oggi, invece, sempre più spesso ci si trova di fronte a una committenza costituita da un team”.
Questo, secondo di Pasquale, porta dei vantaggi, perché la compresenza di vari tipi di competenze arricchisce di contenuti il lavoro dell’architetto, ma dall'altra parte rende più faticoso e frammentato il processo decisionale: “Ben venga quindi il lavoro in team, ma il ruolo di chi coordina rimane fondamentale per definire una linea”.
Quello della spersonalizzazione e dei suoi rischi, quando si parla di nuovi tipi di committenze, è un argomento che ci porta inevitabilmente a un’altra riflessione molto sentita dagli architetti in questa fase storica: il rapporto coi fondi di investimento e la loro possibile influenza sui linguaggi architettonici.
“Il rischio di una banalizzazione del linguaggio è in effetti presente” osserva di Pasquale. “Ma si tratta anche di un rischio che può fare la differenza tra un fondo e l’altro: alcuni si sono già resi conto che istituzionalizzare un'architettura più iconica, invece di puntare sull’omologazione, può essere utile per differenziare il prodotto rispetto agli altri e ottenere un vantaggio competitivo sul mercato”.
Guangzhou circle: dai dischi di giada a una graphic novel
Un’architettura la cui iconicità non è mai stata in discussione è invece quella del Guangzhou Circle, inaugurato da un decennio e diventato nel frattempo un landmark di una città da 20 milioni di abitanti. “Sono tornato di recente in Cina per ricevere dei riconoscimenti come progettista di questo edificio” racconta l’architetto “e vedere quanto sia assimilato alla cultura locale rappresenta la mia più grande soddisfazione”.
Un risultato a cui viene da chiedersi se non abbia contribuito l’attenzione al contesto tipica delle scuole di architettura italiane.
“Di sicuro ho portato un approccio tipicamente italiano al contesto” ricorda di Pasquale. “Ma parlerei di un contesto culturale e connesso all'immaginario collettivo locale, perché i dischi di giada da cui ho tratto ispirazione sono tra le più antiche testimonianze della cultura materiale cinese”.
Questa capacità degli architetti italiani di assimilare e interpretare culture anche lontane dalla propria affonda le proprie radici nella storia, e non manca di precedenti illustri.
“In un incontro alla Venice International University cui ho partecipato di recente, parlando del modo in cui è nato Guangzhou Circle, un intervenuto ha ricordato il caso di Aristotele Fioravanti, che, invitato da Ivan III a Mosca, costruì la chiesa dell'Assunzione secondo una tipologia russa, ma con la luminosità e la purezza di linea del Rinascimento Italiano. Ma lo stesso vale anche per Pietro Antonio Solari, che sempre nel secolo XV ha costruito la torre Spasskaja del Cremlino”.
L’identità italiana che si pone in ascolto dell’altro: una lezione dei grandi maestri dei secoli passati, più che mai viva e applicabile, anche in una metropoli asiatica del XXI secolo.
“A distanza di tempo, il Guangzhou Circle è di fatto uno dei pochi edifici progettati da un architetto straniero che sono stati completamente assimilati dalla cultura locale” sottolinea di di Pasquale, che sta considerando anche l’idea di scrivere una fiaba o una graphic novel ambientata al suo interno, con una serie di personaggi realmente esistiti nella storia cinese.
Un nuovo format: l’housing adattivo
Dopo circa un decennio in cui si è occupato di rigenerazione urbana, con una ricerca teorica incentrata sul concetto di prossimità da cui nasce lo stesso ChorusLife Bergamo [qui il nostro approfondimento], di Pasquale è attualmente al lavoro su un nuovo format, stavolta alla scala della singola cellula abitativa: quello dell’housing adattivo.
“L'idea è quella di svincolare le abitazioni dalla rigidità tipologica cui siamo abituati a relegarle, basata su un’impostazione teorica ormai vecchia di cento anni, che le distingue in base al numero di locali. Le ultime novità sono state, per fare qualche esempio, il soggiorno-pranzo o la cucina a vista, e si tratta anche in questo caso di novità risalenti a sessanta o settant’anni fa”.
Il punto di partenza è quindi la volontà di adattare lo spazio abitativo alle esigenze dell’abitante, in continua trasformazione come la nostra società.
“La prima sfida” prosegue l’architetto “è quella tecnologica di riuscire a creare un perimetro domestico riconfigurabile a seconda delle esigenze che possono presentarsi nel corso della vita: maggiore o minore spazio per il lavoro da casa, compresenza di più soggetti che vivono entro quel perimetro, ecc. La seconda, forse la più delicata, è capire quanto il mercato comprenda questo tipo di esigenza: è quello che stiamo provando a sperimentare in questi giorni, con un primo esempio di housing adattivo a Milano. Si tratta di un piccolo edificio che stiamo realizzando a nord di Piazzale Loreto, su una parallela di viale Monza”.
Una sorta di caso pilota, in cui 5 unità delle quindici totali saranno concepite in modo da renderle successivamente riconfigurabili: “Ogni appartamento adattivo è costituito da una zona, un'area casa equivalente a un bilocale, cui sono aggregati due pod, cioè stanze attrezzate che, attraverso un disimpegno mobile, possono essere sganciate dall'area casa e avere accesso indipendente. In questo modo sarà possibile, per esempio, affittare annualmente a studenti o lavoratori fuori sede entrambi i pod oppure uno solo, per poi reintegrarli in caso di aumentate esigenze di spazio della famiglia”.
Ricerca e didattica
“L’insegnamento è un'attività strettamente connessa a quella di architetto, e che ritengo essenziale per restare in contatto con le aspettative che hanno i giovani da questa professione” spiega di Pasquale. “Ho iniziato a collaborare col Politecnico di Milano dall’anno successivo a quello della mia laurea, nel 1992. Sono docente a contratto dall’anno accademico 2010-2011 e insegno Costruzione dell'architettura”.
Quest’anno, tuttavia, l’architetto ha temporaneamente sospeso l’attività didattica per dedicarsi a un progetto di ricerca sul fenomeno urbano e i comportamenti abitativi emergenti: “Sempre col Politecnico di Milano, che è anche l'ateneo dove ho conseguito un dottorato di ricerca su questo tema, abbiamo portato avanti una ricerca finanziata dai fondi europei. Il brevetto uscito come spin-off dal dottorato è stato selezionato insieme ad altri 9 e tra oltre 200 candidature, per essere finanziato nella fase prototipale, che è quella cui stiamo lavorando adesso. Si tratta della piattaforma Proxima, un concetto modulare ibrido applicato alla tecnologia edilizia, che ha tutta una serie di implicazioni anche a livello funzionale. Ma una parte di questa ricerca è confluita anche nel ChorusLife, e in un libro di prossima pubblicazione, che si intitolerà 'Esseri urbani. La città relazionale e i nuovi paradigmi dell'abitare' e sarà una sintesi divulgativa del mio approccio al fenomeno urbano, non rivolta a un pubblico specializzato ma a una platea più ampia”.
Progetti in corso
L’ultimo argomento toccato nella nostra conversazione con Joseph di Pasquale è quello dei principali progetti in corso.
“Abbiamo appena consegnato il progetto esecutivo per un polo scolastico primario a Ghedi, una piccola città della conoscenza che mi ha molto coinvolto. Stiamo portando avanti anche dei progetti molto importanti di architetture industriali, un altro tema che ci sta particolarmente a cuore: l'industria è il luogo dove si crea una ricchezza che poi tutti noi condividiamo, e occuparsene significa contribuire al miglioramento delle condizioni di lavoro delle persone che vi passano la maggior parte del tempo”.
Tra i progetti irrealizzati – affascinante universo parallelo di ogni studio, che a noi di Promised Lands piace sempre indagare – Joseph di Pasquale ne cita uno che potrebbe avere ancora un futuro: “Il Desert Rose Building è un edificio che nasce da un'esperienza concorsuale poi rimasta senza seguito, che tuttavia ho risemantizzato, immaginando un contesto in cui poterlo realizzare: i deserti della Penisola arabica, quindi Emirati o Arabia Saudita. Anche in questo caso parte tutto da una scena che ho visualizzato nella mente: quella del vento che libera dalla sabbia di una duna l’edificio, ispirato appunto ai cristalli delle rose del deserto. È un elemento che vorrei proporre, e che magari in futuro si realizzerà”.